Il diamante Blu: il gioiello perduto della corona francese (2024)

Una delle sale più visitate del Museo del Louvre, a Parigi, è quella in cui è esposta l’antica e preziosissima collezione di gioielli della corona francese. Rubini, smeraldi e diamanti rivaleggiano in bellezza con raffinate opere di oreficeria cariche di valore storico. Ma balza agli occhi una vistosa assenza. Manca quello che fu considerato per anni uno dei pezzi da novanta del tesoro reale: il diamante Blu, noto anche come Bleu de France (Blu di Francia), scelto personalmente dal sovrano Luigi XV per impreziosire la sua insegna dell’Ordine del toson d’oro.

La storia della gemma ebbe inizio nel 1669, quando Jean-Baptiste Tavernier, un mercante e avventuriero francese, giunse a Versailles con decine di diamanti di elevato grado di purezza che aveva acquistato nel sultanato di Golconda, in India. Il più grande di questi, un pezzo da 115 carati (circa 20 grammi) di una delicata tonalità bluette, attirò subito l’attenzione del re Sole, Luigi XIV. Anche se all’epoca il colore nei diamanti era ritenuto una forma d’imperfezione, quella pietra rappresentava un’eccezione assoluta per caratteristiche e dimensioni. Da grande esperto di preziosi qual era, il sovrano conosceva perfettamente il valore della gemma e non esitò a pagarla 220mila lire tornesi – l’equivalente di circa 150 chilogrammi di oro puro – per poterla esporre nel gabinetto delle curiosità del castello di Saint-Germain-en-Laye.

Il diamante Blu: il gioiello perduto della corona francese (1)

Jean-Baptiste Tavernier (1605-1689) visitò Golconda intorno al 1660. Qui entrò in possesso di numerose pietre preziose – come quelle mostrate nell’incisione – che avrebbe offerto al re Luigi XIV

Il gioiello della corona

Nel 1671 il monarca decise di far tagliare il diamante grezzo per aumentarne la brillantezza e lo affidò a Jean Pittan, gioielliere di corte. Pittan lavorò sul diamante per due anni, optando alla fine per un taglio noto come “rosa di Parigi”. La pietra venne poi poi incastonata in una spilla d’oro di cui il re faceva sfoggio in occasione di grandi solennità. La pietra ebbe nuova vita quando fu ereditata da Luigi XV. Nominato cavaliere dell’Ordine del toson d’oro nel 1749 il monarca volle inserire la gemma nell’insegna dell’istituzione.

Il lavoro questa volta venne commissionato al gioielliere Pierre-André Jacquemin, che disegnò un’elegante parure di topazi, rubini e altre pietre preziose capeggiate dal diamante Blu, da cui pendeva il simbolo dell’ordine – un vello d’oro tempestato di gemme. Alla morte del sovrano il magnifico pezzo entrò a far parte della collezione di gioielli del suo successore, re Luigi XVI, e della moglie, la regina Maria Antonietta. Quando scoppiò la Rivoluzione si decise di prendere provvedimenti per proteggere i tesori reali, che vennero spostati da Versailles al Garde-Meuble, il deposito dei beni della corona ospitato all’interno dell’Hôtel de la Marine, attualmente in Place de la Concorde.

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Luigi XV con il Toson d'Oro al collo. Palazzo di Versailles

Il furto del tesoro

A occuparsi del trasloco dei gioielli fu un ex cameriere particolare del re, Thierry Ville-d’Avray, che fu immediatamente nominato intendente del Garde-Meuble. Ma la crescita repentina delle fortune di questo funzionario fece nascere dei sospetti sulla sua gestione e spinse l’Assemblea costituente a fare un inventario dei pezzi in sua custodia. Si scoprì così che Ville-d’Avray si era impossessato di nove scrigni di gemme e pietre preziose che aveva sottratto alla gioielleria reale e conservava a casa sua. Non si seppe mai se il suo obiettivo fosse finanziare i realisti o le truppe rivoluzionarie o se si trattasse solo di semplice avidità.

Quel che è certo è che Ville-d’Avray fu arrestato e imprigionato nel carcere dell’Abbaye, dove morì poco dopo, mentre i preziosi rubati fecero ritorno al Garde-Meuble. Qui rimasero fino all’11 settembre 1792, quando degli sconosciuti elusero la sorveglianza della Guardia nazionale, forzarono l’entrata posteriore, s’introdussero nell’edificio e lo svaligiarono. I ladri tornarono sul luogo del delitto per diverse notti consecutive, trafugando novemila gioielli tra cui la spada tempestata di brillanti di Luigi XVI, i tesori provenienti dalla cappella di Richelieu e i diamanti Sancy e Régent, rispettivamente da 55 e da 140 carati, oltre allo splendido Blu di Francia.

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Dalla fine del XIX secolo il Museo del Louvre ospita la collezione di gioielli della corona francese. Nell’immagine, la galleria di Apollo, dove sono esposti i preziosi

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Dubbi legittimi

A prima vista quella rapina sembrava uno dei tanti contrattempi della Parigi rivoluzionaria, ma è legittimo chiedersi se a guidarla non fosse stato qualche interesse superiore. Sul piano militare, le vittorie degli alleati facevano temere una sconfitta delle truppe francesi, che avrebbe significato la fine della Rivoluzione. Ma pochi giorni dopo il furto, l’esercito transalpino sbaragliò gli avversari capitanati dal duca di Brunswick nella battaglia di Valmy. Come riuscirono i francesi a sconfiggere uno dei migliori contingenti bellici dell’epoca? Possibile che una parte del tesoro recuperato dalla Guardia nazionale fosse stata utilizzata per comprare il duca di Brunswick? Stranamente, il nuovo responsabile del Garde-Meuble, Jean Bernard Restout, che viveva in un edificio adiacente, non si rese conto che i gioielli erano stati rubati e lo venne a sapere solo diversi giorni dopo direttamente dalla Guardia nazionale. E se è vero che quasi subito vennero arrestati i presunti ladri del tesoro, è anche certo che l’eccessiva benevolenza con cui vennero processati rafforza l’ipotesi che il furto non fosse che una manovra per finanziare la guerra. Per anni girò la voce che un inviato di Danton si fosse recato da Brunswick con un carico gioielli. A ogni modo una parte del bottino fu rapidamente recuperata.

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I pezzi più importanti furono ritrovati tra il 1793 e l’inizio dell’impero, in alcuni casi in circostanze insolite. Il diamante Régent, per esempio, fu rinvenuto in un umile hotel di Parigi. Ma all’appello mancava il prezioso Blu di Francia. Indagini successive dimostrarono che la pietra era rimasta nelle mani di un cadetto di nome Guillot che aveva preso parte all’assalto del Garde-Meuble. Fuggito in Inghilterra, Guillot fu arrestato nel 1796 mentre cercava di vendere il gioiello, di cui da quel momento si perse ogni traccia.

Apparizione sospetta

Nel 1812, appena pochi giorni dopo lo scadere del termine di prescrizione di vent’anni per il furto, un diamante blu da 45,5 carati, di forma ovale e origine ignota apparve casualmente tra le mani del commerciante di gioielli londinese Daniel Eliason. Il banchiere e collezionista Thomas Hope non si lasciò sfuggire l’opportunità di acquistarlo e ribattezzò il “nuovo” diamante con il suo nome. Da allora i fortunati proprietari lo indossarono spesso, sfoggiandolo sia alla grande Esposizione universale di Londra del 1851 sia a quella di Parigi del 1855. E proprio in quell’occasione un noto gemmologo della capitale francese, Charles Barbot, mise in collegamento il diamante Hope con la preziosa gemma scomparsa decenni prima dal toson d’oro di re Luigi XV. I componenti della famiglia Hope conservarono il gioiello fino al 1896, quando la banca di cui erano proprietari fallì.

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Il diamante Hope si trova attualmente nel Museo di storia naturale della Smithsonian Institution di Washington

La pietra passò di nuovo di mano in mano per alcuni anni, in un interminabile susseguirsi di aste e nuovi proprietari: nel 1901 fu acquistata dal gioielliere statunitense Simon Frankel, che la portò con sé a New York. Qui fu nuovamente messa all’asta in varie occasioni, per poi essere comprata dal collezionista newyorkese Harry Winston, che nel 1958 decise finalmente di donarla al Museo di storia naturale della Smithsonian Institution di Washington, dov’è tuttora custodito.

Una nuova pista

Fino a pochi anni fa non c’erano prove, a parte la misteriosa origine del diamante Hope, che questi fosse in effetti il Blu di Francia. Nel 2007 però il mineralogista francese François Farges, allora responsabile della collezione di mineralogia e gemmologia del Museo di storia naturale di Parigi, ha scoperto nei magazzini dell’istituzione l’unico modello in piombo esistente del diamante Blu ed è riuscito a stabilire che l’Hope fu ricavato proprio a partire dal Blu di Francia: i ladri avrebbero nuovamente lavorato la gemma di Luigi XIV, che era di forma triangolare, per darle un taglio ovale. Tre anni dopo Farges e il gioielliere ginevrino Herbert Horovitz hanno presentato una replica del toson d’oro, al cui centro spicca una ricostruzione del diamante Blu con il suo taglio originale. Si è così finalmente restituita alla memoria collettiva la storia di una pietra unica, che da più di due secoli si riteneva scomparsa.

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